Una guida per capire quali terapie sono davvero necessarie e quali garanzie chiedere agli odontoiatri

 

Confusi, come minimo. E di sicuro poco felici. Oltre e più che la fobia del trapano, quando si tratta del dentista gli italiani devono affrontare la paura del portafogli vuoto. Abbagliato dai miraggi delle offerte low-cost e attanagliato anche dai dubbi su quali cure siano necessarie e quali invece superflue, uno su due preferisce soprassedere. Ma che cosa è corretto aspettarsi e pretendere da una prima visita odontoiatrica? Abbiamo chiesto lumi a Laura Strohmenger, alla guida dell’Unità complessa di Odontostomatologia dell’ospedale San Paolo di Milano, docente di odontoiatria all’Università Statale e coordinatrice del Centro di collaborazione Oms per l’epidemiologia orale e l’odontoiatria di comunità, sempre al San Paolo.

 

Prima di tutto, occorre dare un’occhiata non superficiale ai locali. «Le condizioni igienico-sanitarie degli studi odontoiatrici sono paradigmatiche di una corretta impostazione del posto di lavoro — spiega —. L’attività odontoiatrica infatti ha delle rilevanti interrelazioni con le patologie infettive che, se non sono rispettati i protocolli internazionali, vengono diffuse da un paziente all’altro con buona probabilità. Quindi devono essere usati molti materiali monouso e il paziente deve poter verificare che gli strumenti usati nella sua bocca arrivino nella postazione di lavoro sterilizzati e contenuti in buste chiuse, aperte solo in sua presenza e solo per lui. Lo studio odontoiatrico poi deve avere un decoro sanitario assoluto». Il fulcro dell’appuntamento dal dentista è però la visita. «La visita odontoiatrica è come sempre in medicina un intervento complesso — sottolinea Strohmenger — . Deve essere fatta con un’osservazione specifica di tutta la bocca, indipendentemente dal problema che ha portato il paziente dal dentista. Devono essere osservati clinicamente i denti, le gengive, le mucose, la lingua, tutte le zone orali specifiche e le labbra».

Può sembrare un controsenso, ma, a suo dire, il motivo della visita dovrebbe essere chiesto solo dopo. E dopo aver fatto una radiografia, si formula la diagnosi. «È un percorso che necessita chiaramente di un periodo di tempo adeguato; — aggiunge l’odontoiatra — diffidare quindi di una visita affrettata, limitata allo specifico problema, e del professionista che, senza una valutazione complessiva, indica immediatamente una terapia». È bene diffidare anche della “condanna a morte” di un dente, ovvero delle sua estrazione e sostituzione con un impianto, dopo una visita rapida che escluda da subito la possibilità di ripararlo se è solo cariato, o anatomicamente compromesso, o se fa male. «L’implantologia oggi è una tecnica molto diffusa e di grande qualità, — sottolinea l’odontoiatra — bisogna però che esistano sempre condizioni assolute di non recupero del dente. La terapia implantare, oltre che cara, rimane comunque un intervento chirurgico, quindi molto faticoso per il paziente».

Senza contare che la sostituzione di un dente di solito non dà complicazioni, ma solo se il paziente capisce che deve pulire bene il dente sostituito e mantenere un alto livello di igiene complessiva della bocca. C’è poi il capitolo degli esami sulla componente batterica e sulla composizione della saliva. Da alcuni vengono considerati superflui. «Invece, assieme alle abitudini di igiene orale del singolo, — replica Strohmenger — giocano un ruolo determinante sul futuro della nostra bocca. Le patologie odontoiatriche infatti, come quasi tutte le altre malattie, sono determinate da batteri presenti nel cavo orale e da fattori di rischio. Le conoscenze sulla prevenzione delle malattie del cavo orale sono elevatissime e l’odontoiatra deve ogni volta che può trasmettere al paziente questi concetti e i relativi comportamenti nel modo più chiaro e motivante possibile».

Una visita con tutti i crismi non può poi concludersi senza il canonico capitolo della pulizia dei denti (rimozione del tartaro, lucidatura), in studio e a casa. «Le sedute di igiene orale — puntualizza la docente — sono vere e proprie prestazioni che comportano la pulizia dei denti con strumenti particolari, la verifica iniziale su come il paziente effettua la pulizia per conto suo e la sua motivazione finale a correggere gli eventuali comportamenti inadeguati. La prestazione non può perciò esaurirsi in dieci minuti, ma richiede almeno tra i 30 e i 40 minuti». Quante volte è meglio fare la pulizia nell’arco di un anno? «Dipende dal tipo di paziente e dalla sua risposta alle istruzioni di igiene orale personale — risponde Laura Strohmenger —. Ribadisco però che questa pratica comunque è un passaggio fondamentale per mettere in atto ai massimi livelli la prevenzione delle patologie della bocca».

Su altri due aspetti mette l’accento Antonella Polimeni, direttore del dipartimento di Scienze odontostomatologiche maxillo-facciali all’Università Sapienza di Roma e presidente del Collegio docenti di odontoiatria: l’anamnesi, cioè il racconto da parte del paziente del suo stato di salute presente e passato, considerato oltre che parte integrante della prima visita anche momento fondante della comunicazione tra medico e paziente. E poi il rapporto di fiducia, che resta il primo criterio di scelta dell’odontoiatra. «La comunicazione è un passaggio ineludibile — dice Polimeni —. Anche i nuovi ordinamenti del corso di laurea in odontoiatria, che tre anni fa è passato da cinque a sei anni di studi, hanno proprio inserito nella formazione dell’odontoiatra una materia dedicata alla comunicazione». Il rapporto di fiducia poi è fondamentale e dovrebbe mettere il paziente in condizione di non rivolgersi ad altri. «Piuttosto, meglio controllare sempre che il medico sia iscritto all’albo degli Odontoiatri, verificando sul sito della Federazione degli Ordini». Fin qui due voci autorevoli dell’odontoiatria pubblica. E quella privata che ne pensa? «Condivido appieno questi concetti — afferma Gianfranco Prada, presidente dell’Associazione nazionale dentisti italiani —. Possono anche diventare un manifesto della nostra associazione e dei liberi professionisti, perché sono le basi scientifiche di un corretto approccio al paziente».

Ruggiero Corcella